Guido Polloni

La carezza che non arriva è sempre la più attesa.

Così come sognare un bacio, una tenerezza. Un gesto dolce di complicità.

Mendicare una frase di affetto e ritrovarsi a scalare un muro.

Se tua madre è una barriera di indifferenza e tuo padre un blocco di ghiaccio, ti ritrovi a inseguire inutilmente tutta la vita quello che ti manca e lo bracchi con l’ardore dell’assetato e la disperazione del naufrago.

Il relitto a cui ti aggrappi si chiama vita e ogni isola che incontri credi sia quella giusta.

Sovente, invece, quel lembo di terra affonda con la marea della sera, che è sempre la più insidiosa, altre volte è infestata da nemici, altre volte ancora è solo un miraggio che sfida le onde, ma scompare di prua, se ti avvicini.

La vita di Guido Polloni è una circumnavigazione infelice nell’arcipelago dei sentimenti alla ricerca della Terra della Felicità, della Famiglia Sognata.

E così scambi ogni gesto di gentilezza per una parvenza di affetto e credi che sia sempre l’approdo giusto, quello finale,  il definitivo. Invece, è solo una velenosa ombra cinese che ti consegna ad un nuovo maelstrom.

Dal 1992 per due campionati come presidente riesce a mantenere una società di calcio e nel 2017 conta i centesimi della sua pensione di invalidità di 289 euro. Mangia una volta al giorno alla mensa della Caritas e il suo colpo di vita sono le 8 fette di pollo che con l’occasione della settimana riesce a pagare solo 5 euro.

La parabola nera di un borghese perbene che oggi ha 59 anni, inizia da bambino, con l’ossessiva ricerca di affetto. Ma i genitori lo snobbano e quello che in tutti i bambini è normale, con questo vuoto di sentimenti e mancanza di risposte, in Guido Polloni diventa cronico, quasi patologico. Figlio unico, madre fredda e distaccata, il padre è ingessato nel proprio egocentrismo, assente, sentimentalmente distratto e proteso alla carriera che gli assorbe ogni energia.

Oh, per carità, gente rispettabile, motivata, che onora formalmente il proprio ruolo sociale, compatto, solido, quadrato, sempre in crescita.

Il padre è il tipico esempio dell’italiano del boom del miracolo milanese, capace con la sola forza dell’impegno di travolgere gli avvenimenti e guidare la propria vita con determinazione.

Da semplice impiegato, a cassiere di banca, con il lavoro, l’estro, ma soprattutto con volontà e risoluzione è riuscito a diventare amministratore delegato del Credito Italiano.

Una storia esemplare, significativa, quasi una metafora di quegli anni.

La famiglia è una vittima consapevole e predestinata.

Se alla moglie il successo pubblico ed economico del marito è il giusto appagamento di una consacrazione sociale, per il piccolo Guido rappresenta solo un’occasione perduta, il rammarico di non essere “semplicemente, una famiglia normale”.

Un successo quello del padre che già lui immagina bissare con il figlio, dove il figlio è, e non può non essere, che una nuova proiezione della propria affermazione.

La sua ombra lunga sul futuro.

Svaghi negati, nessun gioco con i coetanei, faticose applicazioni sui libri. Guido vorrebbe una normalità che quella famiglia non gli concede. Soprattutto, il giovane Guido, non osa disattendere i voleri del padre, una “non presenza” che caratterizza il rapporto famigliare con un rigore e una freddezza che il ragazzo cerca di aggirare ubbidendo ciecamente alle imposizioni. Vorrebbe affetto, comprensione, dolcezza. Non osa mettersi contro.

Ma quella è una casa delle regole e le regole non accettano i sentimenti.

Liceo, Università e Giurisprudenza. Lui avrebbe voluto fare il poliziotto, ma il divieto della madre, lo aveva costretto a una manovra di accerchiamento. Arrivare a indossare la divisa passando dai tecnicismi teorici del delitto. Lo sbarramento però incide, in special modo, sui risultati scolastici, sul suo impegno, sulla concentrazione. La forte cultura personale non trova corrisposti nei risultati universitari e la laurea si stinge, prima riflesso lontano, poi rinuncia.

La rivalsa definitiva del padre per ribaltare la storia famigliare non si completa e Guido Polloni se non potrà diventare un tecnico laureato potrà almeno formarsi come imprenditore.

Così il padre, dopo consulti, confronti, analisi di mercato, gli acquista un’edicola di giornali e lo immagina al primo gradino nell’arrampicata al successo finanziario.

La parabola di quegli anni è una storia vorticosa, di impegni personali, edicole comprate, rilanciate, con vistosi investimenti economici, di coinvolgimenti individuali, grandissimi e totali, da parte di Guido. Turni massacranti di lavoro, perché la rivendita, aperta tutto l’anno, tutto il giorno, non chiude mai. Ripensamenti, perché con i soci i conti non tornano mai e i problemi  con il passare del tempo, invece di spianarsi, aumentano.

Forse gli amministratori delegati del Credito Italiano non sono abituati al gioco delle tre tavolette, del “carta vince, carta perde”, ma nella economia rampante della Milano anni 80-90 si dicono molte cose, se ne promettono anche di più, ma a fine mese i conti non sono mai quelli preventivati. Le spese vanno alle stelle perché il personale, 4 o 5 persone a secondo dei periodi, ha un costo sproporzionato, non tutti sono fedeli, qualcuno arrotonda in modo non conforme. Insomma nella jungla del denaro, in banca si usano certe strategie e, sul marciapiede, altre.

Ma chi combatte vincendo da una parte non è detto che ci riesca anche dall’altra.

Se il lavoro è pieno di nubi temporalesche, la vita privata non è un cielo stellato.

Il mare della serenità, infatti, è sempre più agitato e non sempre chi ti sta vicino e ti sembra amico, lo è in modo disinteressato. A completare il dissesto sentimentale, la morte improvvisa del padre cambia il quadro economico e gestionale. La famiglia non ha più un leader che vede e provvede onnipresente, ma due membri che si rispettano senza ingerenze o sopraffazioni.

Cambiando l’assetto domestico Guido riesce a gestire in modo meno conflittuale la propria vita, soprattutto, di fianco al lavoro, riesce a costruirsi un insieme di relazioni che, in qualche modo, equilibrano il disavanzo famigliare.

Amici, conoscenze, rapporti personali.

Il pokerino con gli amici, la sera fissa, una fidanzata carina che è anche molto intraprendente e con il passare degli anni farà carriera nell’amministrazione pubblica, e lo sport.

Il basket è la sua grande passione, Guido Polloni è un arbitro apprezzato e, quando non è giudice di gara, segue i campionati e le partite. Una vita apparentemente normale nei legami quotidiani, ma scandita da orari vorticosi e da una intensa gestione dell’impresa.

Lo stress, la fatica, le delusioni d’amore.

L’amore per Guido è una cosa importante. Da sempre alla ricerca di un interlocutore sentimentale privilegiato, una donna o un amico, per sopperire a quello che gli è mancato da giovane, ripone negli amici troppe speranze e finisce che sempre lo tradiscono.

Soprattutto quelli che ti cercano tutti i giorni e che, tutti i giorni, bussano alla tua porta.

“Perché – come dice lui – quando finisci i soldi, finiscono anche gli amici”.

Con le donne, poi, è alla ricerca di perfezione e i suoi segnali non sono mai chiari. Lo amano, gli stanno vicino, ma poi inciampa su sottigliezze e ogni storia torna in discussione.

Capita a tutti, e Guido Polloni non fa eccezione. Ma ogni volta, quando pensa di essere arrivato alla quadratura del cerchio sentimentale, Guido ha un incidente di percorso, magari banalità, sciocchezze che oggi valuta in modo differente, ma che quando sono accadute lo conducono a scelte drastiche e irreversibili.

Ma è il lavoro quello che gli sferra la mazzata più dura.

La corda su cui Guido ha camminato in questi anni, si spezza tutta d’un colpo, il funambolo cade e non si rialza.
Il cuore sembra esplodere, il corpo non reagisce, ricoveri forzati l’impossibilità di lavorare, la rinuncia.

Si liquida tutto, si aggiustano come vengono i conti, magari in perdita, si salda il pregresso e si chiude con Milano.

Le mani di poker, il basket, le cene preparate in casa per le fidanzate, la squadra di calcio con il nome dell’edicola stampato sulle maglie, tutto archiviato, e finisce nel dimenticatoio.

Da bambino andava in vacanza a Varazze e i medici gli consigliano l’aria di mare. Lui e la madre  smantellano le macerie di un’epoca, il baule con scritto “Milano” finisce in una retrovia della memoria e i due, prendono la strada della Riviera.

Con la pensione di reversibilità di un amministratore delegato del Credito Italiano, una vedova vive dignitosamente. Anche se deve mantenere un figlio di 42 anni, ma loro due hanno poche esigenze e Guido, in questo momento, ha un solo e unico obbiettivo minimale.

Sopravvivere.

Per quattro anni dal 2001 al 2005 non lavora. Vive con la madre in un alloggio in affitto di Varazze, che è anche bello. Aria di mare, sole, passeggiate, vita tranquilla. La priorità e riprendersi.

Insomma non è da tutti, lo ammette anche lui, avere quattro anni sabbatici a Varazze e non è il primo ultraquarantenne che vive a spese della madre, ma questo, se vogliamo, in quel momento è il minore dei problemi.

Vita di basso profilo, nessun volo pindarico, sono soprattutto i medici a raccomandargli  di recuperare, perché sul suo fisico lo stress e la débacle cardiaca hanno compiuto effetti devastanti: il cuore, il diabete, il sovrappeso sono un mix che rischia di uccidere.

A Varazze, spiantato, senza soldi, conosce e frequenta persone perbene. Non ci sono interessi in gioco e, per una volta, lo cercano solo per le sue qualità. Così gli amici diventano amici veri, la solidarietà è concreta, e si può toccare con mano.

Antonio, un panettiere e Alessandro un addetto alle pulizie, diventano gli interlocutori di giorni tornati sereni e gli restano fedeli e solidali nel tempo, anche attraverso tutti disastri che continueranno ad arrivare.

Scongiurata l’invalidità totale o una fine precoce, con la ripresa delle forze, Guido Polloni cerca un lavoro, ma l’età, la specializzazione fuori mercato non gli consentono molte chances. Da Varazze si trasferisce a Savona, piazza più ampia, riuscendo a trovare lavoro, come dipendente, in una edicola, in pieno centro.

Forse c’è anche speranza, forse qualcosa di più, di un miglior assetto economico, ma come già l’esperienza milanese gli ha insegnato, un conto sono gli accordi, un conto il rispetto degli accordi.

Sembra una storia allo specchio, un incubo che si ripete: conti che non tornano, versioni ballerine, ambiguità.

Nel 2010 si ritrova a spasso, soprattutto, per la prima volta nella vita, si ritrova solo. Muore la madre e lui deve  lasciare la casa che non può più mantenere e deve trovarsi una sistemazione. Perduti i provvidenziali soldi della pensione della donna si trova senza risorse, speranze, margini di manovra.

Savona non è la sua città, lui è una persona avanti negli anni, sovrappeso, con molti problemi di salute, senza una rete famigliare, né amici.

A Varazze, Antonio, il suo amico panettiere che si era separato dalla moglie lo ospita fino al 2013. Lui non ha denaro, dorme dall’amico e bussa alla Caritas che in qualche modo lo prende in carico e comincia a seguirlo per l’assistenza medica, un minimo di aiuto economico, ma sono spiccioli, ed è poca cosa.

Sembra appena ieri che i giocatori della sua squadra lo chiamavano presidente e adesso deve mangiare alla mensa e non sa dove andare a dormire.

Guido Polloni ha un raro e ricercato modo di esprimersi.

La sua cultura superiore la declina nel linguaggio appropriato e forbito, senza ostentazioni. Arriva da una classe sociale e culturale sopra la media e in lui, l’eloquio ricercato, appare naturale e non stucchevole.

Sentirlo parlare di fame, indigenza, bisogni materiali, dormitori sembra un film doppiato male, se non fuori sincrono, quantomeno fuori contesto. Invece lui racconta questa sua traiettoria oscura, spiegando lucidamente i propri errori, le scelte sbagliate, le superficialità, gli azzardi.

Se cerca una scusante per gli amici di terracotta, le fidanzate che ancora ama e rispetta e in qualche modo perdona, è quella di una ricerca d’amore e di una famiglia di base, mancata. Una recherche, dell’amore mai avuto, che è assillante.

Con grande distacco racconta del buio di quei giorni, del tentativo di suicidio del 13 maggio 2013, dell’ospitalità alla Caritas il 23 maggio e, dal 30 dello stesso mese, dell’arrivo in dormitorio.

Sembra che citi queste date come quelle di un compleanno, di una festa, di una ricorrenza gioiosa.

In verità, questo frangente di dolore, segna il suo incontro con la Caritas, con gli operatori di Savona, con la loro assistenza non solo economica e sociale ma, soprattutto con il loro rapporto umano. Guido Polloni del periodo del dormitorio, parla come di un “momento bellissimo di convivenza” e partecipazione, di ordine, pulizia, di amicizia. Alla Caritas, per 2 anni e mezzo gli danno da mangiare e da dormire, lo seguono nelle pratiche della pensione e della richiesta di una casa all’Arte che arriva a maggio 2017.

In quella casa, per farsi il caffè, bisogna ancora andare a prendere l’acqua in bagno perché l’allaccio in cucina non è approntato, ma c’è il gas. La Caritas anticipa i soldi per l’idraulico, l’elettricista, per le emergenze. Dei 289 euro della pensione di invalidità i  primi 55 euro di ogni mese vanno per saldare l’affitto che “onoro con frenesia”, poi le utenze di gas e luce.

Per mangiare c’è, una volta al giorno, la mensa della Caritas, e poi quello che passa l’emporio dell’assistenza. Però per via degli acciacchi occorrerebbe una dieta speciale, e lui si limita a saltare.

Le sue giornate le passa leggendo, o quando può, con gli operatori della Caritas che lo vanno a trovare. Lui ricorda con puntiglio i nomi, gli appuntamenti, le date, il caffè preso. La disponibilità dimostrata. Potrebbe sembrare blasfemo, ma queste frequentazioni rarefatte sono diventate la sua famiglia. Una famiglia allargata, laica, molto solidale. Un tetto, del cibo, soprattutto conforto e solidarietà. Il suo cerchio sentimentale si chiude con questo paradosso.

Su un vecchio computer rimediato in un fondo di magazzino scrive.

Le sue ore intense sono a rivivere storie immaginarie, dare vita a romanzi gialli anche intricati.

Chi li ha letti dice siano suggestivi, intriganti, inaspettati.

Forse la vita che non è riuscito a costruire Guido Polloni se la inventa ambientando le proprie storie in giro per il mondo, offrendo ai personaggi quelle chances affettuose che a lui sono state negate.

Il suo primo libro lo ha letto anche Calogero Marino, vescovo di Savona, che incontrandolo una seconda volta,  per caso, non solo lo ha riconosciuto, ma ha anche voluto sottolineare come gli fosse piaciuto. E, Guido Polloni, nel ricordarlo vibra.

Il secondo “giallo”, dall’intreccio imprevedibile, si intitola “ 7 anni dopo”.

Non ci sono riferimenti autobiografici, ma parla dei mostri della porta a fianco.

Guido Polloni, che si sente felice con i compagni diseredati di un dormitorio pubblico, può raccontare facile con cognizione di causa e senza problemi.

Lui, infatti, li ha cosciuti di persona quei i mostri veri che sorridevano mentre lo azzannavano.

 

 

 

Autunno 2017

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